Vuoi capire che cos’è il marketing emozionale e come implementarlo nella tua comunicazione? In questo articolo andiamo a vedere le caratteristiche principali di quella che è la nuova frontiera imprescindibile per un business di successo.
Limitiamoci solamente a dare un’occhiata indietro di poche centinaia di anni, dalla rivoluzione industriale in poi. Il 18esimo secolo ha rappresentato il boom della fattibilità delle cose a larghissima scala. Il fatto di poter produrre qualcosa e di replicarlo e distribuirlo su scala nazionale, continentale e poi mondiale ha cambiato il nostro mondo per sempre. Le opportunità di business sono aumentate a dismisura in pochi anni ed ogni attività imprenditoriale ha cominciato a domandarsi: “come posso produrre di più, ergo, vendere di più?”
Questo assioma non ha solo determinato un modo di operare, bensì un modo di pensare, di concepire l’esistenza e, di conseguenza, di rapportarsi l’un l’altro. “Sono facoltoso, come individuo o business, nella misura in cui sono più produttivo, in quanto automaticamente venderò di più”. Credo che, più o meno tutti quanti, possiamo riconoscerci in questa mentalità, direttamente o indirettamente.
Le cose però sono cambiate repentinamente, soprattutto dall’avvento di internet in poi. La corsa alla produzione scellerata e “senza un fine” (se non il profitto), unite alla capillarità ed alla velocità di saturazione che il mondo globalizzato e connesso 24/7 hanno reso possibile ci hanno portato a fare i conti, tra le tante cose, con un aspetto fondamentale: come posso comunicare un valore imprenditoriale che mi differenzi dai milioni di persone e prodotti che fanno esattamente, o in maniera molto similare, ciò che sto facendo io?
Il primo pilastro che è caduto (ringraziando enormemente parte delle neuroscienze applicate al marketing ed alla comunicazione) è stato quello di credere che siamo esseri razionali e che le nostre scelte, come persone e come clienti, siano strettamente razionali e logiche. Le neuroscienze, la psicologia, le scienze comportamentali concordano tutte su un aspetto: la parte cosciente della nostra vita (ovvero ciò che crediamo di sapere e capire) rappresenta un misero 5%. Il resto, è incosciente, subcosciente e quindi emotività, istinti, biologia, genetica etc. Una quantità impressionante di informazioni e pattern che non possiamo controllare.
Arrivati a questo punto, ritengo abbastanza ovvio fare un collegamento; qualunque comunicazione che non riesca ad arrivare ben più in là di quel 5% che possiamo razionalizzare è una comunicazione destinata a fallire o, comunque, a risultare inascoltata. E qui, cade il secondo pilastro. Abbiamo sempre sentito (interiorizzato e quindi accettato) che “gli affari sono affari”, nel senso che emozioni e sentimenti devono essere lasciati fuori, in quanto il business è un qualcosa di astratto, inumano, freddo e logico. Giusto no? SBAGLIATO!! Aziende come Apple, Starbucks, Southwest airlines etc hanno ottenuto un successo inimmaginabile in quanto, mentre tutti parlavano di prodotto, di come fosse bello COSA facevano, loro hanno cominciato a parlare del PERCHÉ lo facevano. Il primo viene recepito a livello razionale, il secondo attiva le emozioni. Ecco perché alcune aziende non hanno clienti, ma fans. Esatto, fans; come se fossero artisti. Ed i fans, amano incondizionatamente, irrazionalmente, perdonano errori ed incidenti di percorso. I fans sono connessi a livello emotivo. E le emozioni, sovrastano quel 5% di cui parlavamo prima.
Compreso questo cambio radicale, come può un’azienda, un libero professionista, una marca personale costruire un progetto che arrivi ad emozionare? Risposta: attraverso il marketing emozionale. Il marketing emozionale, il quale implica anche la comunicazione a livello sensoriale, è l’ampliamento della strategia di comunicazione e della messaggistica di un brand che prima di tutto CAPISCE, ACCETTA ED INCLUDE l’aspetto emotivo degli umani con i quali vuole andare a connettersi. Ho scritto “capisce, accetta ed include” perché dobbiamo essere onesti: non è quasi mai stato fatto finora e sono pochissime le aziende che lo fanno. Questo soprattutto perché, come detto prima, abbiamo tutti un po ‘creduto che la sfera emotiva ed irrazionale non debba entrare nell’ambito degli affari. Inoltre, l’abbiamo creduto e sperato anche per una indiscutibile maggiore praticità. Mi spiego: è molto più rassicurante credere che l’esito di un prodotto dipenda interamente dalle caratteristiche tecniche. Le caratteristiche tecniche sono “scientifiche”, tangibili e razionali. Sono quindi linearmente misurabili e pianificabili.
Diciamo che i primi 200 anni di rivoluzione industriale hanno funzionato abbastanza bene nell’universo della comunicazione razionale. Ora però, sarebbe un suicidio imprenditoriale continuare imperterriti nella convinzione che vendo di più SOLO se ho il prodotto tecnicamente migliore.
Siamo arrivati ad un punto (grazie al cielo!) in quanto, come clienti, siamo stufi di ricevere migliaia di input di marca al giorno da parte di aziende che vogliono realizzare solamente un profitto senza avere un minimo di interesse verso il valore che apporta ciò che stanno cercando di venderci o verso come ci sentiamo. In altre parole, stiamo pretendendo (anche se inconsciamente) dalle aziende e dai brand esattamente come se fossero persone.
Non credete a questa affermazione? Eccovi la cartina tornasole. L’ascesa del marketing attraverso gli influencer ed i personal brand. Le aziende stanno investendo miliardi nel veicolare la loro comunicazione attraverso una faccia, un essere umano. Sapete perché? Perché questo umano è appunto connesso con la sua community a livello emotivo, si è guadagnato la loro fiducia, li accompagna giornalmente ed instaura una conversazione. Proprio così: una conversazione. Il marketing emozionale, oltre che andare a toccare le corde dell’emotività dell’essere umano, capisce che l’azienda deve aprire un dialogo verso la propria clientela e non più un monologo. Quello, verrebbe ignorato e dimenticato in tempo da record.
Arrivati fino a questo punto, andiamo ora a vedere quali sono i macro aspetti e le competenze dalle quali deve attingere una comunicazione di marca moderna, olistica ed omnicomprensiva.
BRANDING
Prima ancora del marketing, è imprescindibile definire Il branding e la sua strategia. Si tratta di un processo complesso e multidimensionale che va ben oltre la creazione di un logo o di uno slogan accattivante. Si tratta di costruire un’identità unica e riconoscibile per un’azienda, un prodotto o un servizio, creando un legame profondo con il pubblico. Questo legame è fortemente radicato nelle emozioni, e la scienza ci offre numerose spiegazioni sul perché. Il branding sta di fatto alla base di tutte quelle cose che poi determineranno lo stile di comunicazione, visuale, la messaggistica, etc. Si tratta di delineare in maniera chiara ed estremamente professionale quelle che poi saranno le linee guida di sviluppo del marchio. Tutto, letteralmente ogni cosa risulterà più semplice e coerente, se viene fin da subito inserita in un contesto di branding adeguato. Al contrario, sorvolare su questo aspetto si tradurrà in una comunicazione ed un marketing più frammentato, incoerente, slegato. Tre parole che attiveranno SEMPRE un’emozione di incertezza, sfiducia, sensazione di qualcosa che “non quadra” nel cliente. Di fronte a tali sensazioni, l’essere umano sceglie al 99% di allontanarsi e scegliere qualcos’altro.
LA NEUROBIOLOGIA DELLE EMOZIONI
Le emozioni giocano un ruolo cruciale nel processo decisionale umano. Secondo Antonio Damasio, neuroscienziato e autore del libro L’errore di Cartesio, “le emozioni non sono solo importanti; sono fondamentali per la razionalità”. Le decisioni d’acquisto, per esempio, non sono guidate esclusivamente dalla logica, ma spesso dipendono da come un brand ci fa sentire.
Quando entriamo in contatto con un marchio, il cervello attiva il sistema limbico, responsabile delle emozioni e della memoria. Le esperienze positive legate a un brand possono creare associazioni emotive potenti, che influenzano drasticamente le nostre scelte future. Ad esempio, uno studio condotto da Read Montague presso il Baylor College of Medicine ha mostrato che, nel cosiddetto “Pepsi Challenge”, i partecipanti preferivano il gusto della Pepsi in un test cieco, ma sceglievano Coca-Cola quando conoscevano il marchio, a causa delle emozioni associate ad esso. Questo è un perfetto esempio di quanto menzionato prima: non necessariamente vende ciò che è “meglio”.
BIOLOGIA E COMPORTAMENTO: IL POTERE DELLE STORIE
Lo storytelling è decisamente l’arte da sviluppare nel 21esimo secolo. Dal punto di vista biologico, le storie attivano diverse aree del cervello, inclusi i centri legati all’empatia e all’immaginazione. Quando ascoltiamo o leggiamo una storia coinvolgente, il nostro cervello rilascia ossitocina, un neurotrasmettitore che favorisce il legame emotivo e la fiducia. Ecco perché se dobbiamo empatizziamo di più con il personaggio immaginario di un film, del quale ci è stata spiegata tutta la storia, piuttosto che con l’evento tragico capitato ad uno sconosciuto reale, ma del quale sappiamo poco niente e con il quale non abbiamo avuto il tempo materiale di entrare in condivisione emotiva del suo percorso.
Questo spiega perché molti brand di successo costruiscono narrative attorno ai loro prodotti o servizi. Nike, ad esempio, non vende solo scarpe da ginnastica; vende il sogno del superamento personale e della vittoria, incarnato nel suo slogan “Just Do It”.
PSICOLOGIA COMPORTAMENTALE E PERCEZIONE DEL VALORE
È importante sapere (ed accettare senza continuare inutilmente a resistere) che niente è intrinsecamente di valore per tutti, alla stessa maniera. Il valore di qualcosa o meglio ancora la percezione di quel valore, è creato e costruito. Se qualcuno ha dubbi a riguardo, pensate a quanto paghiamo l’acqua e quanto paghiamo l’oro. E, no: anche di oro ce n’è in abbondanza. Ma per una serie di questioni che non affronteremo qui, il primo viene dato per scontato (almeno nei paesi del primo mondo) mentre per il secondo siamo disposti a sborsare grandi cifre di denaro.
Le scienze comportamentali confermano che il valore percepito di un prodotto o servizio è spesso influenzato da fattori emotivi e simbolici. Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia, ha evidenziato nel suo libro Thinking, Fast and Slow che gli esseri umani tendono a prendere decisioni rapide basate su impressioni intuitive piuttosto che su un’analisi razionale.
Ad esempio, un orologio Rolex non è solo un dispositivo per misurare il tempo, ma un simbolo di status e successo. Questo valore simbolico, creato attraverso un branding accurato, giustifica il prezzo elevato e costruisce un forte legame emotivo con il consumatore.
IL PESO DEL “PERCHÉ” NEL BRANDING MODERNO
Penso sempre a quella fase di Jurassic Park del Prof. Malcolm, quando afferma “gli scienziati erano così preoccupati di poterlo fare che non hanno pensato se lo dovevano fare”. Parafrasando: se dietro all’idea del nostro business c’è solamente uno scopo di profitto limitato ai fondatori o pochi altri, sarà molto difficile far credere ai nostri clienti che stiamo offrendo un valore aggiunto. Perché semplicemente, non lo stiamo offrendo. In altre parole, non abbiamo un “perché”, un fine più grande, l’obiettivo di una creazione di valore per il quale il profitto sia la diretta (giusta) conseguenza, invece che il vero ed unico fine.
Chiamiamolo pure business etico se vogliamo, perché no? È così sbagliato domandarsi “perché voglio aprire quell’attività” invece di “come porto a casa un profitto”? Io credo di no e, se ci fate caso, le due domande danno adito a due risposte probabilmente molto diverse.
Un’attività imprenditoriale che parta da una reale convinzione, idea e motivazione sarà in grado di ispirare, di attrarre fiducia, di generare anche un cambio comportamentale. Una volta in più, i clienti di un business fondato su questi principi, non vi abbandoneranno mai, neanche quando il vostro prodotto non sarà il migliore sul mercato.
Ritengo che, oggigiorno, siano veramente pochi i settori che sentano il bisogno di un nuovo prodotto, ovvero un nuovo “cosa”. C’è invece un disperato bisogno (e dove c’è reale bisogno, ci sono sconfinate opportunità) di “perché”.
In conclusione, è importante riconoscere come il branding ed il marketing emozionale sono oggi gli strumenti più potenti ed indispensabili per assicurare un business di successo, che si basi sulla comprensione che alla base di tutto ci sono rapporti umani bilaterali. Siamo fatti di emozioni e, in fondo, quello che cerchiamo un po ‘tutti, è che ci facciano sentire capiti, ascoltati e quindi, emotivamente meglio.